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Buttando uno sguardo all’orizzonte, sopra una qualsiasi città, si nota immediatamente un numero
non ben definito di gru. Immense braccia rotanti, che mobilitano carichi pendenti di qualsiasi tipo. Sotto a questi enormi braccia, ci si imbatte in un mondo di infortuni, di cadute dall’alto, di intossicazioni da fumi, di ustioni da sostanze chimiche o da fiamme vive; un vero e proprio mondo di traumi di ogni genere, che conoscendolo, può essere ridotto drasticamente, riducendo, quindi, anche il rischio per gli operatori del soccorso.
Il mondo dell’edilizia è popolato da un milione di persone di etnie diverse che lavorano insieme con metodi o usanze diverse, culture e cibi diversi, ma anche e soprattutto lingue diverse.
Questo non deve essere un motivo di discriminazione, ma un ottimo motivo per spiegare il perché di tantissimi incidenti sul lavoro.
La mancanza di dialogo e conoscenza delle varie culture, è una delle cause più comuni di infortunio durante lo svolgimento dei normali lavori di un cantiere.
Pur essendoci normative che obbligano i dirigenti e i loro sottoposti a garantire la sicurezza nei cantieri, queste non vengono mai tenute in conto al 100%, e non sempre vengono messe in atto tutte le risorse destinate a diminuire l’ impatto degli infortuni sul cantiere.
Secondo la normativa, prima di iniziare i lavori di un qualsiasi cantiere di edilizia pubblica o privata i responsabili della sicurezza dovrebbero realizzare un Piano Operativo di Sicurezza (POS); questo piano viene redatto da soggetti estranei all’ambito sanitario che spesso non sono a conoscenza delle esigenze dei sanitari e dei veicoli di soccorso (Elicottero, Ambulanza, VVF), eventualmente deputati ad intervenire in caso di emergenza.
In altre parti del mondo, in questo ambito vi è una differente operatività: i vari servizi di emergenza sono i primi ad indagare nell’ambito “cantiere” e a collaborare nella codifica del “POS” ponendosi e ponendo una serie di domande chiave, deputate al raggiungimento dell’obiettivo prefissato:

Che tipo di costruzione è?
Quanti ponteggi verranno costruiti?
Saranno utilizzati macchinari speciali per la costruzione?
Quali?

Queste domande permettono, a un’équipe dedicata, di conoscere quello che potranno trovare all’interno del cantiere dove andranno ad operare.
Tralasciando un attimo l’aspetto tecnico, vorremmo qui approfondire la nostra realtà: quando veniamo chiamati per il soccorso, la prima cosa di cui spesso ci si premura è accendere la sirena e partire, ma se non ci viene dichiarato dalla Centrale Operativa, non ci poniamo il problema di conoscere con anticipo che cosa ci troveremo davanti quando arriveremo in cantiere.

La prima cosa da non sottovalutare dove si opera, è domandarsi se “la scena è sicura?” subito di seguito dovremmo chiederci… “noi possiamo salire sul ponteggio, sul tetto o simili?”

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A questo dubbio, si risponde con un “no”, in quanto per la legge italiana, i soccorritori non sono abilitati (D.Lgs. 81/2008 Allegato XXI) a salire su un ponteggio, non essendo formati allo scopo e quasi nessuno è dotato di adeguati dispositivi di protezione individuale (D.Lgs. 475/1992).

Il consiglio che come “esperti” del settore possiamo tramandare, dopo aver frequentato molti corsi inerenti al soccorso nei vari ambienti compresi quelli ostili, è quello che si trova su molti libri di “letteratura sanitaria”: cioè, “valutare la scena, valutare le nostre capacita’ e portare il “paziente in posizione a noi conosciuta”.

Questa definizione intende comunicare l’impossibilità di posizionare un presidio di immobilizzazione del rachide a un corpo inanimato appeso a testa in giù su un ponteggio.
Esempio, questo, adattabile a tutte quelle posizioni che non sono descritte in letteratura, al fine dell’immobilizzazione del rachide.

Apro una parentesi, (Fate tantissima attenzione a presidi di tutela cervicale che sono in commercio in questi anni che “permettono” secondo le aziende costruttrici… Di immobilizzare il rachide del paziente nella posizione di reperimento).

Alcuni enti, come l’ AUSL di Bologna alcuni anni fa’, attraverso il GE.C.A.V. 118 Emilia Romagna, addestro’ i propri infermieri, medici e tecnici all’ uso dei sistemi di protezione individuale di terza categoria secondo le direttive e la piattaforma formativa comune (D.Lgs. 235/08) per i gli operatori che utilizzano sistemi di accesso e posizionamento mediante le funi.
Tutto ciò permise al proprio personale di lavorare sempre mantenendo sotto il controllo la propria sicurezza e garantendo l’intervento anche in quei luoghi di lavoro che ne impedivano l’accesso (spazi confinati e piani inclinati).
Questo tipo di addestramento permise di ridurre i rischi e ottimizza i tempi dei “servizi dedicati”, raggiungendo il paziente in sicurezza e rispettando così la famosa “golden hour”, collaborando con altri enti addestrati e preparati, come i vigili del Fuoco e Soccorso Alpino.

Tornando alla realtà del cantiere, altri rischi, oltre a quelli già descritti, possono derivare dalla presenza di sostanze chimiche, oppure da folate di vento, che favoriscono, rendendola così molto pericolosa, la volatilità delle sostanze aggressive, come la calce, che a contatto con occhi o con le vie aeree, provoca infiammazioni o bronco spasmi spesso estremamente gravi.

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Come si devono comportare i soccorritori?

Devono avere con sé sempre le protezioni individuali che possano tutelare a 360° nell’ambiente di lavoro e utilizzarli ogni qualvolta sia necessario. Tutto è certamente doveroso, ma anche conoscere i propri limiti è fondamentale per salvaguardare la propria vita e quella delle persone da soccorrere; la cosa più importante però è “formarsi”, accrescere il sapere, con persone che in prima persona, non solo sui libri, hanno potuti scontrarsi, con le vere difficoltà di questi soccorsi e con un bagaglio culturale approfondito, non solo sui libri di testo e alle dipendenze di enti certificatori da ufficio.
Per quanto attiene la gestione dei cantieri da parte dei soccorritori, è fondamentale saper riconoscere quali sono le figure professionali alle quali rivolgersi una volta sulla scena (capo cantiere, preposto, RLS, ecc..), saper riconoscere se la scena è sicura, al di fuori di quello che ci viene insegnato nell’istruzione di base, sapere intervenire o impartire ordini (e quali questi devono e possono essere) a chi già lavora o si trova in quell’ambiente diverso e spesso ostile.

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Conclusioni
Le conclusioni alle quali sono arrivato, dopo queste considerazioni, sono: per essere un soccorritore completo e sicuro, è necessario saper uscire dagli schemi della vita quotidiana, dedicando del tempo, al di fuori dello svolgimento dei turni istituzionali, alla propria “cultura personale”, frequentando corsi anche diversi, non solo sulla gestione del paziente, ma anche sulle tecniche di intervento e utilizzo dei materiali, così da poter prendere delle decisioni in modo deciso e dettagliato, senza improvvisare rischiando di compromettere le propria incolumità e quella degli altri, che credono nella Vostra divisa e nel servizio che fornite.

Ciò porta ad investire del tempo che, in futuro influirà sulla vostra sicurezza personale, assicurandovi la possibilità di tutelare voi stessi ed i pazienti.

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