–      ipotermia : abbassamento della temperatura corporea interna  congelamento : abbassamento al di sotto di 0°C di zone del corpo limitate, solitamente le zone periferiche, con lesioni localizzate più o meno estese

L’ ipotermia è dovuta a un abbassamento della temperatura corporea interna sotto i 35°C con conseguente compromissione delle funzioni vitali.

Normalmente la temperatura interna dell’ organismo è più alta rispetto a quella esterna ( 37°C); perché un individuo possa mantenerla costante in modo da assicurare il buon funzionamento dell’ intero organismo, deve spendere tanta più energia quanto minore è la temperatura ambientale e quanto meno efficace è la protezione assicurata dagli indumenti.

Cause dell’ ipotermia possono essere:

–      bassa temperatura ambientale

–      insufficiente isolamento ( indumenti bagnati, esposizione al vento freddo: un corpo bagnato dissipa molto calore soprattutto se esposto al vento)

–      incapacità dell’ individuo a produrre energia sufficiente per mantenere una adeguata  temperatura corporea (malattie o sfinimento)

 

L’ ipotermia quindi si verifica attraverso due modalità:

–      esposizione al freddo intenso e prolungato in individui sani (incidenti di montagna o altro)

–      esposizione al freddo moderato di individui deboli (neonati, denutriti, alcoolisti, per uso di droghe, malattie)

Generalmente l’ ipotermia si verifica in occasione di incidenti e malori in montagna ed è una delle più frequenti cause di morte in queste circostanze. Tutti gli individui esposti senza difese, a temperature anche solo relativamente basse (15°C), che siano in condizioni di forzata immobilità e per periodi prolungati, possono cadere vittima di questa evenienza.

Quando ci si espone  a temperature ambientali molto basse, bisogna ricordarsi di proteggersi con un abbigliamento adeguato; a questo proposito si deve tener presente che la testa è un formidabile radiatore di calore poiché ne cede molto all’ ambiente circostante (il cappello non è un optional). Inoltre, nel caso dell’ assunzione elevata di alcool, si favorisce l’abbassamento della temperatura corporea interna per almeno due motivi:

l’ alcool induce ipoglicemia( diminuzione degli zuccheri nel sangue) che a sua volta causa di per sé una diminuzione della temperatura; favorisce la vasodilatazione periferica che a sua volta aumenta la cessione di calore all’ambiente circostante. Quindi meglio un caffè, che è un vasocostrittore, piuttosto che un grappino dopo una passeggiata tra la neve.

Anche l’ alimentazione riveste un peso considerevole nel contrastare l’ effetto del freddo: è necessario infatti introdurre più calorie per poter aumentare il metabolismo; è stato calcolato che il personale delle stazioni geofisiche polari, introduce fino alle 7.000- 8.000 calorie/ die. Altro fattore importante è il sesso e la massa muscolare: gli uomini sono esposti più delle donne alla minaccia del freddo, e questo è più letale per le persone magre e muscolose, piuttosto che per le persone grasse.

Non vi è una temperatura precisa in cui l’organismo umano “muore dal freddo”, ma da alcuni esperimenti fatti da medici nazisti, si è visto che la morte sopraggiunge in genere a una temperatura corporea al di sotto dei 25°C.

Se l’ ipotermia però si sviluppa rapidamente (acqua gelida <5°C) il cervello può essere protetto dall’anossia (mancanza di ossigeno). Infatti in letteratura sono stati riportati episodi significativi, come quello di un bambino di 2 anni, rianimato dopo essere rimasto sommerso per oltre 60 min. in acqua a 5°C, e quello di una donna di 29 anni con ipotermia a 14°C, rianimata e ripresasi perfettamente senza alcun danno neurologico.

L’ ipotermia protegge il cervello dalla riduzione del flusso ematico cerebrale. Per questa ragione, anche se le vittime a una prima valutazione possono sembrare clinicamente morte a causa della marcata depressione cerebrale e della funzione cardiovascolare, non è impossibile rianimarle con successo e senza reliquiati neurologici.

Il corpo umano reagisce agli abbassamenti della sua temperatura, sostanzialmente attraverso due tipi di meccanismi : fisici e chimici.

Tra i primi rientra la vasocostrizione periferica, cioè la riduzione dell’ afflusso di sangue alla periferia del corpo (cute ed estremità ad es.) così da aumentare il flusso di sangue caldo ai visceri per cercare di mantenere stabile la temperatura. La vasocostrizione periferica può ridurre del 2 % rispetto al valore di base, il flusso di sangue  destinato a cute e sottocute, riducendo così la dispersione termica. Sempre per richiamare sangue al “centro”, si produce anche una vasodilatazione delle masse muscolari profonde. L’ altro meccanismo fisico è dato dal brivido  che, attraverso il lavoro, aumenta la produzione calore  arrivando ad aumentare la temperatura centrale anche di 3°C, ma con costi energetici e metabolici enormi che sono di breve durata. Se tutto questo non basta a ristabilire le condizioni fisiologiche, scattano i meccanismi chimici mediati da una zona del cervello chiamata ipotalamo.

La prima fase provvede ad innalzare la frequenza cardiaca (attraverso la stimolazione del sistema simpatico) per aumentare la circolazione sanguigna. Si assiste successivamente a un aumento del metabolismo, in modo da aumentare la quantità di zuccheri da bruciare per produrre energia, e quindi altro calore. Se tutte queste reazioni non sortiscono alcun effetto, tutte le funzioni difensive e fisiologiche cominciano a deteriorarsi progressivamente.

Le prime modificazioni si hanno a carico della muscolatura con comparsa di atteggiamenti scoordinati e goffi a causa di un’ alterazione nella contrazione e nel rilasciamento muscolare.

Al di sotto dei 35°C, per ogni grado perso, si assiste alla diminuzione del metabolismo cerebrale fino al 3-5%; a 34°C comincia a comparire amnesia, a 33°C apatia e a 32°C si va incontro a uno stato stuporoso, che rappresenta il limite che separa l’organismo dallo stato di ipotermia profonda. A 30,5°C si hanno grosse difficoltà a riconoscere le persone.

Le modificazioni a carico del sistema cardiocircolatorio sono molto evidenti già fin dall’ intervallo tra i 35 e i 32°C: compare cioè tachicardia (aumento della frequenza cardiaca), spesso accompagnato da tremori che non vanno confusi con i brividi.Se la temperatura scende ulteriormente, il ritmo cardiaco peggiora, divenendo irregolare (fibrillazione striale), determinando così una alterazione nella funzione di pompa del cuore, fino ad arrivare a un rallentamento marcato della frequenza cardiaca (bradicardia). M a carico di questo sistema si presentano altri due effetti molto importanti:

–      aumentano le resistenze vascolari, il sangue cioè incontra maggiori ostacoli a essere pompato fuori dal cuore, nelle arterie e nelle vene.

–      Aumento della viscosità ematica: il sangue diventa cioè così denso tanto da poter essere paragonato all’olio di una macchina in un motore freddo. A 25°C la viscosità è 1,8 volte superiore a quella misurata a 37°C.

Con la circolazione sanguigna così compromessa, tutti gli organi vitali vanno incontro a una rapida compromissione legata soprattutto al ridotto apporto di sangue e quindi a un ridotto apporto di ossigeno ai tessuti. Gli organi che particolarmente risentono di questa situazione sono il rene e il cervello con comparsa, rispettivamente, di una ridotta diuresi e con comparsa di allucinazioni visive e uditive. Alla temperatura corporea di 29°C circa, spesso l’assiderato va incontro a uno strano stato di angoscia parossistica : si toglie cioè tutti i vestiti di dosso, e questo “ spogliarello paradossale” è così comune che, sovente, nelle città, i morti per ipotermia sono spesso ritenuti vittime di stupri.

Benché gli scienziati non siano riusciti a stabilire con certezza la causa del fenomeno, la spiegazione più semplice risiede nel fatto che, poco prima di perdere conoscenza, si ha una vasodilatazione improvvisa dei vasi sanguigni sottocutanei tale da produrre, a livello epidermico, una sensazione insopportabile di caldo urente.

Esistono vari modi per classificare l’ ipotermia; noi ne prenderemo in considerazione due, che possono completarsi tra loro.

La prima classificazione prevede 4 stadi differenti:

  1. 1.   stato di piena coscienza (35-32°C) : sono presenti brividi intensi, può comparire agitazione, il respiro è frequente, così come il suo polso (tachicardia)
  2. 2.   stato di sonnolenza o confusione (32-28°V) : i brividi sono scomparsi e può esserci una situazione di apparente benessere; il respiro è lento, il polso è irregolare (aritmico) e lento (bradicardia)
  3. 3.   stato di incoscienza (< 28°C) : la respirazione e il polso sono appena percettibili, talvolta apprezzabili solo strumentalmente; sono presenti
  4. 4.   stato di morte apparente (<28°C) : assenza dei segni vitali con arresto cardiaco (asistolia, fibrillazione ventricolare) 

Un’ altra classificazione prende in considerazione l’entità di abbassamento della temperatura corporea:

  1. ipotermia lieve (36-34°C) caratterizzata da confusione mentale, vasocostrizione periferica,brivido e aumento della diuresi
  2. ipotermia moderata (34-30°C) in cui si assiste a una diminuzione dello stato di vigilanza, della respirazione, aumento del tono muscolare, tendenza alla midriasi (dilatazione della pupilla), bradicardia con facile insorgenza di aritmie (irregolarità del battito cardiaco)
  3. ipotermia severa (<30°C) in cui compare coma, apnea, flaccidità muscolare e tendenza all fibrillazione ventricolare spontanea (28°C) fino all’ asistolia (21°C)

TRATTAMENTO DELL’ IPOTERMIA

Prima di passare al trattamento vero e proprio è necessario spendere due parole sulla prevenzione e sul riconoscimento di un paz. andato incontro a ipotermia.

Vi sono categorie di persone esposte più di altre al rischio di abbassamento della temperatura corporea: persone anziane, forti bevitori, bambini, non devono esporsi a lungo ad ambienti freddi.

Anche il riconoscimento dei primi segni è fondamentale: si è visto come sotto i 35°C  scompaiono i brividi, e la persona colpita, pur restando vigile, presenta dei segni di confusione mentale ; la cute è fredda, pallida (vasocostrizione periferica), ma può, paradossalmente, presentare degli eritemi (arrossamenti cutanei) soprattutto nelle zone del corpo sottoposte a pressione ( una sorta di ustione da freddo). È regola di base, che, quando compaiono i brividi, bisogna, se possibile, raggiungere un luogo riparato per tentare di arginare da soli l’abbassamento di temperatura. Diverso è invece il discorso quando ci si imbatte in persone già in ipotermia avanzata. In questo caso bisogna  evitare di farsi prendere dalla voglia di riscaldare immediatamente  e con decisione il paziente, poiché molti assiderati muoiono proprio per il cosiddetto “shock da riscaldamento” in cui si assiste a una apertura quasi istantanea dei capillari, provocando un improvviso calo della pressione sanguigna (sincope) e movimenti anche minimi inducono nel miocardio l’ insorgenza di pericolose aritmie cardiache (fibrillazione ventricolare).

Da tutto ciò emerge  quindi che nel trattamento delle ipotermie oltre il primo grado, è fondamentale ricorrere  una corretta terapia soprattutto legata all’ assistenza cardio- respiratoria per arginare tutte quelle possibili complicanze mortali tipiche di questa evenienza.

La prevenzione di un aggravamento  stà alla base del trattamento extraospedaliero dell’ ipotermia.

Rimuovere eventuali abiti bagnati, isolare il paziente con coperte termiche e posizionarlo su un materassino a depressione, proteggerlo dal vento e ventilarlo con ossigeno riscaldato e umidificato. Tra i fattori che contribuiscono a causare o aggravare l’ ipotermia vi sono, oltre la gravità di un eventuale trauma che ha portato all’ ipotermia, l’ infusione parenterale di liquidi non riscaldati. Va infatti sottolineato che l’infusione di liquidi  a temperatura ambiente, come avviene nel soccorso extraospedaliero, abbassa la temperatura corporea di circa 0,5°C per ogni litro di soluzione.

Monitorare la temperatura è quindi una regola importante; per fare ciò disponiamo di vari tipi di termometri:

–      termometri a mercurio detti “ da ipotermia”(25-35°C)

–      termometri elettronici con sonde timpaniche (la temperatura del timpano è strettamente correlata con quella dell’ ipotalamo)

–      termometri con sonde esofagee .

Altro procedimento importante è quello di evitare di spostare il paziente per i motivi che abbiamo visto sopra( aggravamento dell’ ipotensione, insorgenza di FV).

Per capire i meccanismi che stanno alla base di questo fenomeno bisogna fare due considerazioni:

–      via via che l’ ipotermia progredisce, l’ abbassamento della temperatura corporea non procede in modo  uniforme. La circolazione del sangue infatti viene centralizzata per preservare gli organi nobili (cuore,cervello,reni) : per tale motivo gli arti presentano delle temperature considerevolmente inferiori rispetto a quelle riscontrate all’ interno del torace.

–      il raffreddamento del cuore di un paziente ipotermico favorisce l’ insorgenza di gravi aritmie cardiache, la più importante delle quali è la fibrillazione ventricolare, che sono causa di arresto cardiaco e quindi di morte se non trattate immediatamente. Su quest’ ultimo concetto si basa la protezione del cuore durante gli interventi di chirurgia cardiaca in circolazione extracorporea.

Quindi, sulla base di queste considerazioni, se un paziente ipotermico viene mobilizzato dai soccorritori, è possibile che parte del sangue più freddo rimasto immobilizzato negli arti, venga sospinto nel torace causando un ulteriore brusco abbassamento della temperatura a livello cardiaco, che può causare una FV( tanto più probabile quanto più la temperatura centrale si avvicina a 28°C). Questo fenomeno và sotto il nome di after-drop.

Da ciò si evince che una misura precauzionale fondamentale per prevenire l’after-drop è quella di muovere il paziente in ipotermia con grande cautela, spostandolo il blocco, evitando soprattutto di piegare le grandi articolazioni degli arti, in modo da evitare che sangue molto freddo venga sospinto verso il cuore raffreddandolo ancora di più. I movimenti devono essere ridotti al minimo indispensabile.

Nel corso dell’ ipotermia l’ organismo mette in atto una serie di complesse reazioni di difesa e i soccorritori possono trovarsi di fronte a improvvisi  cambiamenti clinici, anche nel caso di ipotermia lieve, che possono portare, senza alcun avvisaglia, anche all’ arresto cardiaco.

Per questa instabilità clinica è opportuno ospedalizzare al più presto un paziente ipotermico.

Non tutti gli esperti sono infatti d’accordo sull’ opportunità del trattamento sul posto dell’ipotermia, soprattutto se questa è grave, in quanto i soccorritori non hanno né l’ attrezzatura, né il tempo sufficiente, per valutare adeguatamente la temperatura centrale e iniziare il trattamento con ventilazione e infusioni di soluzioni riscaldate.

Sul campo si dovrebbe rapidamente monitorare l’ attività cardiaca, assicurarsi un accesso venoso e misurare la temperatura centrale, senza però ritardare il trasporto verso una struttura adeguata.

Di estrema importanza per una corretta strategia di intervento, è conoscere il tempo di trasporto del paziente in ospedale (quale mezzo di soccorso verrà utilizzato: elicottero, ambulanza), perché se viene raggiunto entro una decina di minuti (elicottero) è meglio non perdere neppure un istante per realizzare sul posto misure terapeutiche che sarebbero comunque incomplete. Se si prevede una ospedalizzazione più lenta il medico, se presente, dovrà valutare i pro e contro di ciascun trattamento.

L’ ossigeno terapia è molto utile, soprattutto se disponiamo di ossigeno riscaldato.

Per l’ accesso venoso bisogna fare alcune considerazioni:

–      incannulare una vena in un paz. ipotermico può essere molto difficile a causa della vasocostrizione periferica e, inoltre, il metabolismo dei farmaci risulta essere rallentato, così come la risposta del cuore alla stimolazione con pace- maker e alla defibrillazione. Se il paziente non risponde ai primi tentativi di defibrillazione o alla terapia farmacologica iniziale, la defibrillazione successiva  e i boli addizionali di farmaci dovrebbero essere evitati fino a che la temperatura centrale non sia risalita sopra i 30°C.

–      nel paz. ipotermico ( soprattutto I e II grado), se non è presente una concomitante emorragia, si determina una ridistribuzione del sangue circolante, che si localizza principalmente a livello del tronco a protezione degli organi vitali (centralizzazione).

Per questi motivi, se non si riesce a incannulare un accesso venoso e il paziente non è gravemente emorragico, è meglio rinunciare  per non ritardare il trasporto in ospedale con conseguente aggravamento dell’ ipotermia.

La somministrazione di farmaci in corso di ipotermia è da evitare per i motivi di cui abbiamo detto sopra.

 Se si prevede un tempo lungo per il trasferimento del paziente in ospedale, bisogna mettere in atto tutte quelle misure necessarie a impedire un ulteriore raffreddamento:

–      isolare il paziente dal terreno o dalla neve

–      ripararlo dal vento

–      trasferirlo, con cautela, in un luogo coperto in modo che possa respirare aria non fredda

–      rimuovere gli indumenti soprattutto se sono bagnati, oltre che freddi ( in caso di ipotermia lieve togliere gli indumenti, nei gradi superiori tagliarli per evitare movimenti che aggraverebbero le condizioni cliniche del paziente)

–      applicare un impacco termico, utilizzando tavolette chimiche, con l’accortezza di posizionarle solo sul tronco, a livello del cuore, per evitare una pericolosa vasodilatazione periferica. L’ impacco termico va sostituito ogni ora fino all’ arrivo in ospedale

–      ricoprire il paziente con una metallina. A questo proposito l’ uso corretto delle metalline pretende che esse vengano messe a diretto contatto della cute e coperte a loro volta per garantire il massimo contatto e impedire eventuali spostamenti d’ aria: sono molto utili per impedire la dispersione termica a livello del capo (40% di quella totale).

–      barellare il paziente

In ambulanza è possibile praticare con una certa efficacia il riscaldamento esterno passivo tramite esposizione del paziente all’ambiente riscaldato della cellula sanitaria (guadagno limitato a 0,5°C per ora). Si riscalda al massimo la cellula sanitaria dell’ ambulanza e, una volta ottenuta la temperatura desiderata, si stende la coperta termica sopra il paziente.

Per i pazienti più gravi (grado II e III) si dovrebbe prevedere l’ ospedalizzazione direttamente a un ospedale attrezzato per le tecniche di CEC (circolazione extra-corporea), impiegata normalmente in cardiochirurgia. Questa tecnica permette di modificare la temperatura del sangue, riscaldando o raffreddando, mediante il suo transito in apparecchiature che sono anche in grado di ossigenarlo.

Poiché il paziente in ipotermia è caratterizzato da una particolare instabilità cardiocircolatoria, i soccorritori dovranno essere capaci di mettere in atto le manovre di RCP e di continuarle fino all’ arrivo in ospedale.

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