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“Salendo verso il cielo

l’uomo comprende il mistero

del suo essere in vita”

Qian Xu, XV secolo

 

Il freddo e le radiazioni solari sono le cause preminenti dei danni cutanei acuti e cronici in ambiente montano. Il freddo può determinare sia fenomeni generali definiti ipotermia, sia fenomeni locali ascritti ai vari gradi di congelamento.

L’ipotermia è un’emergenza medica multiorganica che si riscontra nelle cadute accidentali in corsi d’acqua gelata o nello sprofondamento nella neve (danni da valanga).

Se la temperatura corporea scende sotto ai 35 gradi si va incontro a modificazioni cardiorespiratorie irreversibili e che determinano la morte. Il congelamento, invece, è un danno tessutale diretto che compare quando la temperatura cutanea scende al di sotto dello zero termico. Frequente nei periodi di guerra, è oggi possibile osservarlo quando i meccanismi individuali di fuga o di difesa sono parzialmente o totalmente impediti e principalmente in ambienti montani contrassegnati da vento e freddo.

Pertanto è imprudente soggiornare, con indumenti poco adeguati, in ambienti ventilati e freddi soprattutto per coloro i quali presentano danni cardiocircolatori e neurologici di tipo cronico (insuficienza circolatoria periferica, scompenso cardiaco, sclerosi multipla, ecc.)[1].

Sono anche a rischio gli sportivi e coloro che lavorano all’aperto (addetti agli impianti di risalita, ai sistemi di controllo, ecc.).

Sciatori adeguatamente coperti possono sviluppare congelamenti alle guance, ai padiglioni auricolari, al naso.

L’intensità del freddo, l’umidità, il tipo d’abbigliamento, la presenza di problemi vascolari e neurologici, l’assunzione d’alcool e lo sforzo concorrono a determinare il danno da freddo.

Occorre ricordare che gli abiti debbono essere sottili e conviene più ricorrere a più strati protettivi che ad un unico strato di grande spessore[2].

Occorre poi che guanti e cappelli siano del tutto asciutti. Infine evitare l’esposizione in fase digestiva o dopo abbondanti libagioni[3].

Gli aspetti clinici del danno da freddo possono essere distinti per gradi come accade per le ustioni.

Congelamento di 1° grado

Si tratta di un danno temporaneo e superficiale che si presenta con un’area anestetizzata ed ischemizzata (priva di sensibilità e pallida) che rapidamente si riscalda divenendo eritematosa (rossa) e dolorosa, ma guarisce senza nessun reliquiato.

Congelamento di 2° grado:

Raffreddamento più grave e prolungato che comporta un danno dermico sufficiente a causare edema (gonfiore) e formazione di bolle superficiali. Le bolle sono speso a contenuto nerastro, si rompono e risultano molto dolorose.

Congelamento di 3° grado:

Si ha una necrosi (morte) dei tessuti con interessamento non solo della cute ma anche, nei casi più gravi, dei tessuti sottostanti. A volte la necrosi è secca (mummificazione) altre volte umida con infezione (gangrena). Le mani ed i piedi con congelamenti di questo tipo determinano necrosi demarcate con perdita di porzioni ampie di dita.

Circa il trattamento va ricordato che il riscaldamento deve essere progressivo e con drastico, altrimenti si può aggravare il danno ischemico.

Posizionare immediatamente il paziente presso focolari o fornetti è di solito sbagliato così come l’immersione della parte congelata in acqua molto calda.

Meglio strofinare lievemente la parte con acqua a temperatura crescente o immersione in acqua con temperatura progressiva da 37 a 40 gradi Celsius.

Sull’area del congelamento di 1° grado sono utili creme emollienti e protettive prive di antibiotici. Inutili i corticosteroidi o gli anestetici locali. Nel 2° grado le flittene vanno aperte e medicate con soluzioni disinfettanti (amuchina) a basse diluizioni (0,05%).

Per il dolore, ove presente, utili gli analgesici centrali non oppioidi come il tramadolo. Nel caso di forme umide è opportuno applicare creme antibiotiche (gentamicina e/o auromicina) ed inviare rapidamente il paziente in centri specialistici. Attualmente sono frequenti danni ad andamento cronico, in soggetti predisposti, legati all’esposizione prolungata al freddo.

Questo significa che, un certo numero di persone, durante i week-end sulla neve, possono presentare problematiche tenaci e spesso misconosciute. In primo luogo la perniosi (o eritema pernio o gelone), per lo più legato ad una piccola insufficienza vascolare periferica di tipo subclinico[4].

Le lesioni sono tipicamente localizzate sulla superficie dorsale delle dita delle mani e dei piedi, sul bordo anteriore della tibia o sulla parte interna del ginocchio e delle cosce. Si tratta di noduli molli ben delimitati, di colorito blu-rossastro, che divengono pruriginosi e successivamente dolorosi e che peggiorano nei rapidi riscaldamenti.

I farmaci vasodilatatori non sono di grande aiuto mentre la pentossifillina 400 mg/die possiede una buona azione curativa. L’impiego locale d’ultrasuoni e creme a base d’eparinoidi può avere valore preventivo.

La forma è più frequente nelle donne ed assume spesso carattere familiare.

Uno studio capillaroscopico serve a confermare la diagnosi e valutare il livello del disturbo circolatorio. Se è presente una patologia anche solo funzionale del microcircolo periferico sono utili gli anticianosidi del mirtillo ed i bioflavonoidi [5]

Formazione

A volte la perniosi è più estesa ed assume un aspetto follicolare. Tipicamente si osservano centinaia di papule follicolari a livello di cosce e glutei con aspetto semi-permanente di “pelle d’oca”.

E’ quasi sempre presente un intenso prurito. In questi soggetti sono spesso presenti disturbi neurovegetativi, disturbi acrocianotici perferici e fragilità vascolare. Con il tempo i follicoli piliferi si riempiono di cheratina determinando un aspetto notevolmente antiestetico.

Oltre a proteggersi dal freddo-umido, tali soggetti possono sottoporsi a trattamenti cheratolitici con derivati aromatici della vitamina A ed impiegare vasodilatatori di tipo alfa-litico (nigercolina).

Quando la perniosi semplici o follicolare si associa a particolare sensibilità al freddo con parestesie diffuse e dolori articolari, si può immaginare una produzione di proteine anomale nel sangue (crioglobuline), capaci di precipitare a freddo.

Esami del sangue e visite specialistiche si rendono allora necessarie[6].

Uno condizione che deve destare preoccupazione è la comparsa di aree infiltrate, dure e dolorose, di infiammazione del sottocutaneo (panniculite da freddo) a livello dell’addome o della regione glutea. Questa condizione, di pertinenza specialistica, può essere il primo segno di gravi malattie linfoproliferative di tipo francamente neoplastico (macroglobulinemia di Waldestrom)[7].

Per quanto riguarda le radiazioni solari sia gli ultravioletti che gli infrarossi, che aumentano in alta montagna, possono determinare accumulo di radicali acidi ed invecchiamento precoce delle aree cutanee esposte. Il risultato è un progressivo assottigliamento della pelle ed una frammentazione di fibre elastiche, che si manifesta con cute poco elastica, secca, opaca e successiva comparsa di rughe.

Le macchie cutanee e le cheratosi sono la naturale consuguenza di una continua e ripetuta esposizione senza adeguata protezione.

Un gran numero di tumori cutanei sono dovuti alla radiazioni solari (epiteliomi e melanomi) e, pertanto, l’esporsi in periodi particolari (prima delle 11 e dopo le 16) e l’impiego di filtri protettivi (schemi solari) non si raccomanda mai abbastanza soprattutto in soggetti con pelle chiara e con familiarità per neoplasia[8].

I filtri vanno studiati dal dermatologo in relazione al tipo di esposizione ed alle caratteristiche del soggetto (spessore e colore della pelle, malattie dermatologiche attuali o pregresse, colore degli occhi e dei capelli, ecc.).

Il “fai da te” si dimostra, di solito, estremamente dannoso[9].

Un gran numero di dermopatie di frequente riscontro sono peggiorati dal sole di montagna, particolarmente ricco di raggi eritematogeni (UVB e infrarossi).

Ad esempio la rosacea che, nel caso di continua esposizine solare, può assumere un carattere combinato con la cosiddetta dermatite seborroica.

Naturalmente chi è portatore di lupus eritematoso, dermatomiosite, lichen ruber planus deve evitare scrupolosamente l’esposizione solare o usare schermi protettivi fisici riflettenti a base di biossido di titanio. Una condizione frequente negli sciatori e maestri di sci è la cosiddetta eritrosi interfollicolare di Leader, che, a livello del collo, determina ipertrofia reattiva dei follcoli piliferi con capillari ectasici e dilatati.

L’impiego d’antiradicalici naturali (acido 18-betaglicirretico[10]) e sintetici (allupurinolo[11]) ed anche l’uso di protettivi solari topici e generali (idrossiclorochina, vitamina E, vitamina H1 ecc.), può essere, dopo visita specialistica, di grand’utilità[12].

Ciò che si è notato è che, senza consulto preventivo specialistico e personalizzato, i danni cronici da esposizione solare (macchie, rughe, invecchiamento, cancro) non tendono a ridursi neanche con l’uso, empirico e personale, di schermi protettivi[13] [14]. Rimandiamo per approfondire ilo capitolo alla varie sezioni (colpo d’occhio; dalla parte dell’utente; a fior di pelle) dell’homepage recente www.dermoaq.it e concludiamo descrivendo, brevemente, una nuova entità nosografica da trauma attinico ripetuto in montagna. Si tratta della lichtschwiele, in cui la cute si ispessisce formando calli ipercheratosi che, partendo dal dorso della mani, possono investire poi il volto ed il collo.

Tale condizione di deve sia agli UVA che agli UVB ed è più frequente con il danno attinico cronico montano che marino[15]. Le mode sportive e salutistiche attuali, spesso esasperate e fraintese, hanno portato ad un incremento di questa inestetica condizione anche da noi.

 

Indirizzo per chiarimenti

Dr. Giovanni Flati

UOC Di Dermatologia

AUSL04 L’Aquila

Tel. 0862368760

E-mail: dermoaq@katamail.com; dermoaq@libero.it

 

Bibliografia

[1] Kanzebach T.L.: Dexter W.W.: Cold injueres, Postgrad. Med., 1999, 105: 72-78.

[2] Killian H.: Cold and frost injury, Ed. Springer Verlag, Berlin, 1981.

[3] Bass M.: Treatment of frostbite, Alaska Med., 1993, 35: 141-150.

[4] Braun-Falco O., Plewig G., Wolf H.H., Burgdorff W.H.C.: Dermatologia, Ed. Springer, Milano, 2002.

[5] Finzi A., Marinovich M. (a cura di): dermofarmacologia, Ed. UTET, Torino, 1999.

[6] Fitzpatrick T.B. et al.: Dermatology in General Medicine, Ed. Mc Graw-Hill, New York, 1987.

[7] Fabbrini A.: Clinica Medica, Ed. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1990.

[8] Fitzpatrick T.B.: The validity and pratcability of sunreactive skyn type I trough VI, Arc. Dermatol., 1988, 124:869-871.

[9] AAVV: La pelle e il sole, Ed.UO di Dermatologia AUSL 04, L’Aquila, 1999.

[10] Di Stanislao C., Giannelli L., Iommelli O., Lauro G.: Fitoterapia Comparata, Ed. Di Massa, L’Aquila, 2001.

[11] Zanussi C. (a cura di): Breviario terapeutico, Ed. Selecta Medica, Pavia, 2000.

[12] Sckarfetter-Kokcahnek K.: Photoaging, ADV Pharmacol., 1997, 38: 237-240.

[13] AAVV: Manuale Merck di Diagnosi e Terapia, Ed. Medicom, Milano, 1999.

[14] Bologna M., Di Stanislao C., Flati G. et al.: Epiteliomi e melanomi: esperienza del quinquennio 1997-2001, Esperienze Dermatologiche, 2002, 2: 25-31.

[15] Calderone D.C., Fenske N.A.: The clinical specxtrum of attinic dermatitis, J. Am. Acad. Dermatol, 1995, 32: 1016-1025.